Massimo Bergamini il fil rouge infinito

Il Fil Rouge - termine caro a Goethe, che lo utilizza ne Le Affinità Elettive - è quel tratto continuo che come un filamento di DNA collega le cose del mondo, le persone, quel che avvenne e quel che non avvenne mai. Costituito da dettagli, la sua natura è di collante in fitta trama: unisce eventi, sinestesie, simboli, e tra caso e caos tende all’infinito. Per questo l‘infinito non è astrazione ma addizione di eventi e vita, tra impermanenza e flusso continuo, tra ricordo e futuro. Un distillato di umanità, ma anche un fiume che scorre, o un filo del telegrafo che balzando di palo in palo scompare alla vista dietro la collina, in lontananza, ma che sappiamo proseguire il suo viaggio ad avvolgere il mondo.

 

Questo libro narra con parole e fotografie la ricerca di quel fil rouge infinito.

A volte inciampando nella sua evidenza affiorata, a volte saltandolo come un bimbo nel gioco della corda, a volte inseguendo tra ebbrezza e illusione quella nervatura d’oro che si spera si celi ancora nella miniera abbandonata.

 

                                                                                                                                                                                         L'Autore

 

pagine 160
brossura grecata e copertina rigida
carta patinata di alta qualità

oltre 75 foto inedite in alta definizione

prefazione di Matteo Marconi

Edizioni arciLibri

disponibile anche in edizione digitale

 

 

Quando scade il ricordo? Il problema del passato non è la sua veridicità trascorsa ma la sua attendibilità futura. Il ricordo è sempre un prodotto fresco di giornata, e ogni giorno si rinnova. La sostanza del ricordo è tra l’oggi e il domani.

 

 

  (Madeleine, pag. 123)

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Mentre discendevamo verso Atlantide, il terzo giorno abbiamo litigato. In effetti era colpa mia, è vero che a volte non ti ascolto.

Nessuna burrasca, solo un piccolo temporale che passò in fretta. Avevi il broncio in ciuffi elettrici. Per farmi perdonare, scrissi mentre non c’eri delle frasi dietro lo specchio. Non te lo ho detto mai, perché in quel momento pensai che a volte bisogna solo agire: incidere graffiti in silenzio sulla parete della caverna di Platone mi parve medicamento. Ti scrissi una cosa sull’imbarazzante bellezza da portatori d’acqua nel deserto. Sulla freschezza carsica di fiumi di colore, sotto tavolozze di sabbia naufraga. Ti narrai della dispensa ben nascosta di coloniali per gli occhi, quando salta la sfinge della serratura.

Se non apprezzerai queste parole, torneremo ancora in quella stanza per cancellarle: si torna sempre sul luogo del delitto e del diletto. Quindi spero non ti piacciano per niente.

                                                                                                                                                                                                      (Atlantide e Platone, pag.79)

Mi piacerebbe ingaggiare una partita a scacchi per corrispondenza, di quelle che giocavano Lasker o Alekhine cent’anni fa. Battaglie di penna e calamaio, dichiarazioni di attacco su carta profumata, assedi nascosti nella buca delle lettere come Ulisse nel ventre del cavallo.

Ci penso, affranco e lascio al vettore la mia mossa, un messaggio nella bottiglia. Il mare del tempo lavora a mio favore. Paziente, mi lascia modo di pensare, di capire. Sedimento in botti di rovere mentre il francobollo arranca fino a te, bella e pugnace. Poi un giorno arriva la tua risposta, attesa come una lettera d’amore, e lo scenario cambia. Cavallo in d7. Così via, ed è tutto un rincorrersi di pezzi e caselle e vita e stagioni per mesi, per anni. Pause e attese come lenzuola tra noi. Poi un giorno arriva l’ultima lettera: cade un alfiere, il re è nudo, matto in due mosse. E mentre sto per spostare quella torre fatale, penso che presto perderò la sfida con un nemico che non ho mai visto in viso.

Non ti ho mai chiesto come stai, e tu il mio nome. È questa la guerra perfetta.

 

                                                                                                                                                                                                      (La guerra perfetta, pag.116)